Il ricorso ai buoni pasto da parte dei datori di lavoro nel settore privato è una prassi che si sta diffondendo molto nelle aziende per la facilità di utilizzo dello strumento e per il risparmio economico che ne può derivare previo il rispetto di una serie non troppo lunga di requisiti.
Solo per citarne alcuni va rispettato in primis il concetto di categoria omogenea di lavoratori, oltre naturalmente ad assegnare i buoni legandoli all’effettiva prestazione di lavoro.
Considerato quindi che il ticket elettronico è esente fino a 8 euro giornalieri e ipotizzando una media di 21/22 giorni lavorativi al mese in caso di distribuzione dell’orario su cinque giornate lavorative, ecco che il lavoratore beneficia all’incirca di 170 euro al mese. Se tale importo fosse stato inserito in busta paga al datore di lavoro costerebbe con buona probabilità circa il doppio. E fin qui tutto bene.
Da una recente indagine che ha coinvolto più di mille lavoratori dipendenti per comprendere come gestiscono la pausa pranzo quando sono al lavoro (fonte: Altroconsumo), emerge però che ben sette intervistati su dieci utilizzano i buoni pasto principalmente per fare la spesa al supermercato. “Monetizzano” pertanto i buoni spesa al supermercato portandosi molto spesso il pranzo da casa.
Oltre magari a preferire il pranzo fatto a casa rispetto a quello che si trova presso le strutture confezionate, tale prassi è dovuta anche alle difficoltà di utilizzo dei buoni pasto: sempre meno esercizi commerciali accettano buoni pasto o lo fanno con restrizioni a causa delle commissioni che variano dal 11% al 15% applicate da parte delle società che emettono buoni.
I supermercati risultano essere i luoghi dove è più semplice utilizzare i buoni pasto, seppure però con limitazioni previste dalla legge: massimo 8 buoni per singolo scontrino e solo per l’acquisto di prodotti alimentari.
Attenzione poi anche alla scadenza dei buoni pasto: a volte vengono emessi con una durata di tempo molto contenuta, soprattutto verso fine anno, creando disagi ai lavoratori perché una volta scaduti non vengono mai riemessi, perdendo quindi in toto il controvalore monetario.
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